Russia ed Unione Europea: una partnership destinata a non sbocciare mai?

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La peculiare visione del mondo russa è la convinzione congenita che l’Ordine cosmico poggi su fondamenti etici (1) ; agli occhi di quel popolo, i mali più gravi dell’Occidente consistono nel calpestare le norme morali e nel disinteressarsi della giustizia sociale. Ciò spiega la diffidenza dei russi per le norme giuridiche che, al contrario, assumono in Europa una valenza suprema.

L’inserimento storico della Russia nel campo cristiano ortodosso ha provocato una rottura non solo religiosa ma anche culturale tra la parte occidentale e quella orientale del Vecchio Continente; la divisione tra Stato e Chiesa ha contribuito infatti, in modo determinante, alla formazione della nazione moderna e dell’ideologia liberale, quest’ultima tutta incentrata sul primato dell’individuo rispetto alla comunità.
Inoltre la dominazione mongola ha avuto un effetto per nulla trascurabile sulla formazione politica ed identitaria della Russia, contribuendo a renderla una civiltà originale ed eurasiatica.

Dal punto di vista geopolitico, ad oltre un secolo dalla famosa conferenza di Halford John Mackinder alla “Royal Geographical Society”, il punto di vista occidentale sull’Heartland non sembra davvero cambiato: “Questo spazio centrale appartiene alla Russia ed in parte alla Cina. Intorno al “Cuore del Mondo” si dispiega, a semicerchio, la Fascia del Bordo (Rimland) che contiene il Continente europeo, i Paesi del Vicino e Medio Oriente, l’India ecc. La terza parte è quella composta dalle Isole, cioè dagli altri Continenti.”

Partendo da questa visione, la geopolitica atlantica ha mantenuto fermo nel tempo un assioma fondamentale: chi controlla l’Heartland può governare sulle nazioni del Rimland e così condizionare le Isole. Macknder perciò metteva in guardia dalla prospettiva di una rete ferroviaria capace di coprire il continente eurasiatico, minacciando i vantaggi goduti dalle potenze talassocratiche con il trasporto marittimo delle merci.

Inutile ricordare quanto il progetto cinese della Nuova Via della Seta terrestre e Marittima, specie se coordinato con quello russo dell’Unione Economica Eurasiatica, ricordi questa premonizione (ovviamente più paventata che auspicata).

Il Cordone sanitario costituito allora da una cordata di Paesi alleati della Gran Bretagna e degli Stati Uniti d’America, dal Mar Baltico fino al Mar Adriatico, viene oggi riproposto dalla NATO nelle forme più diverse ed aggressive possibili (il Trimarium, lanciato nel 2016, volto anche ad impedire un riavvicinamento russo-tedesco).

Subito dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica (nonostante un referendum popolare avesse votato per il suo mantenimento), il Segretario di Stato USA, James Baker, sottolineò come gli Stati Uniti “devono guidare lo sfruttamento delle ricche risorse umane e materiali di questi Paesi per i fini della libertà e non del totalitarismo, cosicché si rafforzino immensamente la sicurezza, la prosperità e la libertà degli Stati Uniti e del mondo”. Nel congratularsi con Boris Eltsin per la soppressione di un colpo di Stato filosovietico, Baker gli raccomandò di “sfasciare” anche la Federazione Russa, così da agevolare la politica predatoria dell’Occidente.

Solo pochi anni dopo, uno degli analisti più ascoltati a Washington, Zbigniew Brzezinski, presentò il progetto di smantellamento e riduzione della Russia ad una miriade di staterelli “indipendenti”, facilmente condizionabili e ricattabili (2).
Ebbene la Federazione Russa è comunque erede dell’Unione Sovietica, per quanto rimaneggiata ed indebolita, ed il suo ruolo rimane quello di potenza mondiale eurasiatica; considerarla una nazione europea emarginata, come è stato fatto negli ultimi trent’anni, ha solo contribuito a spingerla nelle braccia “naturali” della Cina.

L’ascesa al Cremlino di Vladimir Putin nel 2000 ha interrotto definitivamente questo processo di smantellamento del Paese; oggi 2/3 della popolazione russa, secondo alcuni sondaggi, apprezzano l’avvicinamento di Mosca a Pechino e spingono per un rafforzamento della loro cooperazione bilaterale.

L’Europa ha masochisticamente perseguito il proprio assoggettamento agli Stati Uniti e alla loro visione di un mondo unipolare, in cui una sola potenza determina gli equilibri geopolitici planetari, imponendo un uniforme sistema amministrativo e giudiziario; viceversa, il Gruppo dei Paesi BRICS guidato da Mosca e Pechino, ha delineato e progressivamente costruito una sistematica alternativa multipolare che riscuote sempre più consenso nel resto del Pianeta.

La Russia, in particolare, ha consolidato le sue relazioni con quelle nazioni più diffidenti all’intrusione occidentale, dalla Siria all’Iran, dal Venezuela a Cuba, alla stessa Corea del Nord; Mosca, seguendo il modello cinese, ha assorbito della globalizzazione solo quelle innovazioni tecnologiche capaci di rafforzarne la proiezione strategica, mettendo in atto delle contromisure per difenderne la sovranità (dalla registrazione dei server all’interno del Paese alla creazione di una propria Rete-Internet indipendente).

L’utilizzo dell’arma protezionista da parte del Presidente USA Donald Trump, è indirizzato proprio contro il successo delle potenze eurasiatiche. Negli ultimi tre decenni la quota del PIL globale delle nazioni sviluppate, a parità di potere d’acquisto, è diminuita dal 58 al 40%, quella dei Paesi del G7 dal 46 al 30%, mentre è cresciuto il peso dei Paesi con mercati in via di sviluppo, i quali non sono più costretti a seguire la scia e il vantaggio storico competitivo delle potenze occidentali.

Sanzioni economiche, embarghi e limitazioni alla concorrenza (dall’Iran alla Turchia, dal gasdotto North Stream 2 a Huawei), fanno parte della reazione a questo cambiamento epocale. La Russia propone l’armonizzazione degli interessi economici nazionali con i principi di interazione, concorrenza e cooperazione tra nazioni che presentano modelli di sviluppo e sensibilità culturali differenti. L’irritazione di Washington e Bruxelles è dovuta alla conclusione, in Russia (e altrove), di una lunga storia di concessioni e dipendenza economica e finanziaria alla quale Stati Uniti ed Unione Europea erano abituati da decenni.

Manca perciò oggi una piattaforma di valori condivisi da entrambi i partner, a partire dal non riconoscimento dell’universalismo giuridico propagandato dall’Occidente e che si vorrebbe imporre anche con la forza (attribuendo alla NATO il ruolo di “gendarme globale”), come successo ad esempio in Ucraina e più recentemente in Bolivia (mentre uno dei principi cardine dei BRICS è proprio la non ingerenza negli affari interni degli Stati sovrani). Al fine di ripristinare i rapporti “a pieno formato”, come auspicato dal Presidente Putin durante la sua visita in Italia lo scorso luglio, bisogna iniziare proprio dal principio della “non intromissione” per ripristinare la pinea fiducia e costruire un Continente stabile (3).

Finora l’Unione Europea si era limitata ad appoggiare tutte le più discriminanti richieste portate avanti dal Governo di Kiev, l’ucrainizzazione coercitiva, i divieti di utilizzare la lingua russa e il suo insegnamento, il revanscismo storico, l’assedio militare ai dissidenti nel Donbass, il rispetto integrale degli Accordi di Minsk. La riammissione dei parlamentari russi al Consiglio d’Europa a Strasburgo va finalmente in un’altra direzione ma non è condizione sufficiente.

Se quindi l’apertura diplomatica del Presidente francese Emmanuel Macron permetterà a Putin di stabilizzare il “fronte” ucraino, le energie del Cremlino verranno dirottate a stabilizzare l’area mediterranea grazie all’accordo con Iran e Turchia in Siria, riducendo ulteriormente l’influenza atlantista nell’area del Vicino e Medio Oriente. Gli Stati Uniti vorrebbero costringere l’Unione Europea a rompere le relazioni con Mosca, Ankara e Teheran, ma si tratterebbe per Bruxelles di un vero e proprio suicidio geopolitico che costringerebbe il Vecchio Continente a dover dipendere energeticamente sine die da Washington.

Essendo però un’appendice politico militare (tramite l’Alleanza Atlantica) del dominio statunitense in Europa, la UE non può discostarsi oltre un certo limite da queste posizioni; la Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) integra ma non sostituisce quella dei suoi Stati membri, per cui manca totalmente una visione comune sui temi di importanza strategica.

Questa frammentazione si rispecchia pienamente nell’azione dei singoli Stati nazione, specie di quelli più importanti, che continuano a condurre iniziative estemporanee sulla base dei propri interessi. Se prima era sotto accusa l’Italia, prima ed unica nazione del G7 a firmare il Memorandum of Understanding sulla Belt and Road Initiative con la Cina, ora è il turno della Francia che annuncia di voler rompere l’isolamento diplomatico ed economico nei confronti della Federazione Russa (4).

Quanto quest’ultima iniziativa di Parigi sia frutto di una reviviscenza dell’eredità gollista, della concorrenza interna lepenista o di una comune intesa con Trump volta a strappare Mosca dall’abbraccio strategico con Pechino solo il tempo potrà dimostrarlo, tuttavia appare evidente come la tenuta dell’Unione Europea su un dossier così decisivo sia ormai a rischio.

A ciò bisogna aggiungere le parole del Presidente francese Macron sulla NATO, giudicata “cerebralmente morta”, che mettono in discussione l’architrave su cui si è costruita la stabilizzazione del Vecchio Continente dopo la Seconda Guerra Mondiale (parole rafforzate dal veto francese all’adesione della Macedonia del Nord alla UE) e lo stesso asse franco-tedesco.

Se esse fossero funzionali all’apertura di un serio dibattito sull’utilità dei rapporti transatlantici nel XXI secolo se ne potrebbe anche essere soddisfatti, tuttavia in virtù del nuovo ruolo nella lotta al controllo dello spazio che l’Alleanza Atlantica rivendicherà al prossimo vertice di dicembre, appaiono quantomeno illusorie. Le dichiarazioni del suo Segretario Generale, Jens Stoltenberg, individuano quali massimi pericoli per l’Europa proprio “le interferenze russe e le tecnologie cinesi”, quale monito alle velleità autonomiste di qualcuno dei suoi membri. Il vecchio sogno e le sporadiche proposte di un esercito europeo indipendente mancano totalmente di concretezza.

Si profila perciò una continuazione rivisitata e aggiornata della “guerra fredda”, quale nuova sfida tra potenze “autoritarie e revisioniste” e “democrazie universaliste” (che nella logica delle prime nascondono però l’imposizione del pensiero unico da parte della nazione più forte, gli Stati Uniti d’America).

All’uscita degli USA dal Trattato ABM e al dispiegamento del sistema antimissile in Europa orientale, la Russia risponde ora con le esercitazioni militari in Serbia (con tanto di missili S400 al seguito), mentre la stessa Belgrado annuncia l’intenzione di comprare i sistemi di difesa aerea di Mosca nonostante le minacce di Washington.

Stefano Vernole

Note
1 Dragos Kalajic, Razzismo antieuropeo: i pregiudizi russofobici, in “Eurasia” Rivista di studi geopolitici, 2/2005.
2 Emblematico il numero della Rivista italiana “Limes” n. 4/98, “La Russia a pezzi”, che prefigurava una nazione riportata al tempo del Ducato di Moscovia.
3 “Corriere della Sera”, 4 luglio 2019.
4 “Secondo quanto trapela dall’Eliseo, è l’intesa conseguita con la mediazione di Parigi ai primi di ottobre che attribuisce a Kiev il compito di organizzare regolari elezioni nelle regioni indipendentiste di Donetsk e Lugansk, sulla base della Costituzione ucraina. Il voto, previsto dopo la restituzione al controllo di Kiev di 400 chilometri di confine fra Donbass e Russia, sarà seguito dalla concessione della piena autonomia da parte di Kiev in base alla legge sullo status speciale”. Gian Micalessin, Sanzioni addio. Macron sigla la pace tra UE e Mosca, “Sputnik”, 19/11/2019. Angela Merkel ha preso immediatamente le distanze dalle dichiarazioni di Macron sulla NATO.

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