Cina nuovo motore della globalizzazione? Sul vertice APEC dopo la vittoria di Trump

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di Fabio Massimo Parenti

Alla riunione dei leader economici, Xi ha invitato le economie dell’APEC a rimanere impegnate sulla strada della globalizzazione economica ed ha annunciato il completamento dello studio strategico per lo sviluppo della Free Trade Area of the Asia-Pacific (FTAAP), lanciata a Pechino durante al vertice APEC del 2014. “Abbiamo bisogno di rimanere coerenti con la nostra agenda e intraprendere azioni più efficaci per realizzare la FTAAP al più presto”, ha affermato il presidente cinese.

IL PRIMO SUMMIT DELL’ERA TRUMP – Il summit dell’Asia-Pacific Economic Cooperation, un’organizzazione multinazionale nata nel 1989 e che oggi consta di 21 membri, si concluso domenica 20 novembre, dopo due giorni di incontri istituzionali e alcuni eventi preparatori. Svoltosi a pochi giorni dall’elezione di Trump, il vertice sembra aver offerto, secondo molti osservatori, un crescente spazio di azione per la Cina, membro dell’APEC sin dal 1991. Vediamo perché.

Dopo l’elezione di Trump la stampa asiatica e occidentale ha abbondato di commenti sulle nuove possibili relazioni Usa-Russia e Usa-Cina. Da notare, ancora una volta, la minore importanza rivolta all’Unione europea. In particolare, le speculazioni non sono mancate in materia di accordi commerciali. Ruan Zongze, ex diplomatico cinese ed attualmente membro del China Institute of International Studies, ha affermato che il TPP sarebbe “la prima vittima” dell’elezione di Trump. Quest’ultimo ha criticato aspramente il TPP (il trattato di libero scambio tra Usa e 11 paesi della macroregione), definendolo “disastroso”, non solo per come è stato concepito, ma anche perché non in linea con gli interessi nazionali. Al riguardo sono molti a sottolineare che una certa ostilità verso la Cina, esclusa dal TPP insieme all’India, è stata una strategia miope. Secondo Trump, invece di limitare la competitività cinese il TPP l’amplierebbe. Questo approccio si evince chiaramente anche da un’altra dichiarazione, strettamente connessa alle dinamiche geo-economico-politiche degli ultimi anni. James Woolsey, consigliere di Trump per la sicurezza nazionale, ha affermato che “l’opposizione dell’amministrazione Obama all’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) voluta dalla Cina è stato un ‘errore strategico’ ed è necessario mostrare maggiore interesse nei confronti della One Belt, One Road”. Wang Huiyao, direttore del Centre for China and Globalisation, un think tank di Pechino, suggerisce che dopo la vittoria di Trump “la Cina possa invitare gli Usa ad aderire alla AIIB” (per queste e altre dichiarazioni si leggaqui). Tuttavia, la posizione di Trump sulla Cina, apparentemente più pragmatica, non deve far dimenticare le dure critiche rivolte dal nuovo presidente statunitense durante la campagna elettorale, sostenuta da un entourage neoconservatore di tutto rispetto (Woolsey, Bolton, Giuliani e Gingrich). Soprattutto sulla politica monetaria e sulle questioni commerciali. Il tentativo obamiano di isolare la Cina (nonostante il riavvicinamento avvenuto su alcune tematche chiave – pensiamo a quelle ambientali – verso la fine della sua Presidenza) all’interno della regione di sua naturale appartenenza aveva originato altre due proposte cinesi: la già ricordata Free Trade Area of the Asia Pacific (FTAAP) e la Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP, i dieci membri dell’Asean più Cina, Giappone, Corea del Sud, India, Australia e Nuova Zelanda, che insieme rappresentano il 27% dell’economia e il 30% del commercio globale).

UN’EPOCA DI CAMBIAMENTI – Ciò premesso, si capisce meglio perché la Cina abbia assunto un ruolo ancor più importante al vertice APEC, che, tuttavia, è avvenuto in un periodo in cui soffiano venti protezionistici. Come ricordato recentemente da Shashi Tharoor, politico indiano a capo del comitato parlamentare per le relazioni estere, “una generazione di liberalizzazione commerciale, come l’abbiamo conosciuta fino a oggi, è finita”. Il vertice è giunto pertanto in un momento di grandi cambiamenti regionali e mondiali. La vittoria di Trump e la sua ipotetica postura maggiormente protezionistica solleva grandi incognite non solo nel nuovo possibile rapporto con la Cina (come sopra esplicitato), ma anche in merito al sistema di alleanze militari. Si pensi ad esempio alla Corea del sud o a Taiwan. Questi paesi continueranno a ricevere l’appoggio statunitense come in passato oppure il supposto pragmatismo e protezionismo commerciale si tradurrà anche in un parziale disimpegno militare?

IL RUOLO DI TAIWAN E COREA DEL SUD – A Lima ha partecipato anche Taiwan, ma non la Corea del sud. Il primo paese ha designato il leader del partito di opposizione Soong, visto che la presidente in carica Tsai (nonché leader del partito progressista-indipendentista) non è riconosciuta dalla Cina, in quanto contraria al principio “one country, two systems”. Soong potrà discutere le questioni economico-commerciali, benché non sia autorizzato a negoziare. Diversamente, la presidente coreana Park Geun-hye ha annunciato che non andrà al summit a causa dei difficili scenari che interessano la penisola coreana. Nonostante ufficialmente si faccia riferimento alla sicurezza nazionale, in relazione ai test nordcoreani, vi è ragione di credere che il disimpegno sia dovuto allo scandalo che ha coinvolto Choi Son-sil, confidente di Park, che avrebbe influenzato oltremisura, senza ruoli ufficiali, le scelte della presidente. Ma c’è di più. Sono settimane che la Corea del sud registra anche proteste popolari anti-THAAD, il sistema di difesa missilistica statunitense. Anche qui la Cina potrebbe beneficiare dello stallo politico e vedere congelati progetti più volte criticati, perché considerati mezzi di contenimento anticinese.

LE FILIPPINE DI DUTERTE: UN NUOVO AMICO PER LA CINA? – E’ necessario infine menzionare leFilippine, un altro paese APEC che, dopo l’elezione del nuovo presidente Duterte, rappresenterebbe secondo molti una forza di cambiamento negli equilibri della regione. In particolare per i concreti segni diriavvicinamento strategico alla Cina, essendosi mostrato disponibile a negoziare sulle questioni marittime e avendo deciso di allentare le relazioni militari con gli Usa, con cui ha sospeso le esercitazioni militari. L’APEC è molto importante per Duterte: il commercio con i paesi dell’organizzazione consta di decine di miliardi di dollari, quasi l’80 per cento dell’intero interscambio commerciale. In occasione del Vertice, Duterte ha avuto un incontro bilaterale con Putin, al termine del quale il leader filippino ha commentato “quanto sia stato facile” diventare amici con il Presidente russo. Un’altra mossa che sembra allontanare ulteriormente Manila dall’alleanza strategica con gli USA. Alla Russia si è avvicinato inoltre anche il Giappone: la delusione per la mancata ratifica del TPP ha senz’altro indotto il premier Abe a non perdere tempo, cercando anche di ravvivare negoziati commerciali con i partner regionali e di riaccostarsi a livello diplomatico alla Cina.  In conclusione, è possibile asserire che la Cina, sulla scia del successo del G20 ad Hangzhou, ha cercato di porsi anche a Lima come paese capofila per il rilancio di nuovi sistemi macro-regionali di “libero scambio”. Come richiesto chiaramente da Xi, il quale ha aggiunto che la globalizzazione deve essere orientata al miglioramento delle condizioni di vita delle persone e alla riduzione della povertà.

 

Da: http://www.ilcaffegeopolitico.org/49255/cina-motore-della-globalizzazione-sul-vertice-apec-la-vittoria-trump

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