di Stefano Vernole
I risultati delle elezioni parlamentari in Russia del 18 settembre 2016 hanno espresso un chiaro orientamento: secondo dati preliminari, il partito “Russia Unita” ha vinto le consultazioni con il 54,23% delle preferenze, che gli darebbero non meno dei due terzi dei seggi e la maggioranza costituzionale alla Duma di Stato.
In questo modo il partito del Presidente Vladimir Putin ha ottenuto il 76% dei seggi della Camera Bassa e siccome per la prima volta dal 2003 i deputati sono stati eletti con un sistema elettorale misto, 225 in base alle liste presentate dai partiti (unico seggio federale) e 225 nei collegi uninominali, bisogna sottolineare come anche nei collegi uninominali “Russia Unita” abbia ottenuto la maggioranza, vincendo in 203 distretti su 225.
Seguono i comunisti (13,65%) e il partito liberal democratico (13,39%); “Russia Giusta” ha ottenuto il 6,16% dei voti, mentre gli altri partiti minori, collaborazionisti dell’Occidente, non sono riusciti a superare la soglia di sbarramento del 5%: in particolar modo, il partito “Yabloko” ha ottenuto l’1,69%, il “Partito della crescita” di Boris Titov ha ottenuto l’1,07% e il partito “Parnas” dell’ex primo ministro russo Mikhail Kasyanov ha invece registrato meno dell’1% dei voti.
Contrastanti invece i dati sull’affluenza: è stata pari al 47,81% (nel 2011 era stata del 60,2%, e nel 2007 del 59%), tenendo però conto che in Russia le elezioni più importanti sono quelle presidenziali e che l’astensionismo potrebbe essere interpretato come un segnale di stabilità del sistema.
Le sanzioni occidentali hanno infatti paradossalmente compattato il Paese e l’appello patriottico di Putin è stato raccolto in tutte le fasce della popolazione russa.
Non si può però sottovalutare il fatto che il voto è stato simbolicamente preceduto da uno degli atti più gravi commessi dalla coalizione militare a guida USA in Siria e cioè il bombardamento deliberato, per oltre mezz’ora, dell’unico nucleo di soldati siriani arroccati a Deir Ezzor, mentre gli israeliani a loro volta bombardavano le postazioni governative dalle alture del Golan.
Se, simbolicamente, questa vigliacca azione militare angloamericana conferma il supporto storico della NATO agli oppositori di Assad, Isis e Al Qaeda in testa, a maggior ragione lancia un pesante avvertimento al Cremlino: la vittoria russa in Siria non verrà tollerata e la destabilizzazione di Damasco continuerà fino a quando gli obiettivi geopolitici statunitensi non saranno realizzati.
Dal giorno del suo insediamento fino alla decisione di intervenire militarmente in Siria, si può dire che la politica di Putin nei confronti dell’Occidente sia stata semplicemente simmetrica, per cui ad ogni affondo di Washington corrispondeva un’analoga reazione di Mosca.
L’intervento militare russo ha invece scompaginato i piani elaborati dal Pentagono, il quale continua a sognare un protettorato “sunnita” nel nord est della Siria e una base permanente da utilizzare insieme ai suoi alleati per deporre Assad in un secondo momento.
Le varie tregue firmate in questi mesi, sistematicamente violate e tradite, servono solo a guadagnare il tempo necessario per l’arrivo alla Casa Bianca di Hilay Clinton, giustamente soprannominata “la regina del caos” 1.
Se quindi a livello strategico è vero che gli USA hanno fretta di scatenare una guerra o contro la Russia o contro la Cina (ma non contemporaneamente), mentre al contrario Russia e Cina cercano di guadagnare tempo per non compromettere la pace mondiale e la loro pacifica ascesa, è altrettanto vero che in questa congiuntura temporale il complesso militare-finanziario nordamericano attende pazientemente l’esito delle elezioni presidenziali statunitensi per sferrare il suo ultimo disperato attacco.
Se la tattica russa si limiterà ad attendere una vittoria, che sarebbe certo clamorosa ma forse nemmeno risolutiva, di Donald Trump, si perderà un’occasione storica, stante l’attuale divisione all’interno dell’establishment USA.
Questo è infatti esattamente il momento in cui il Cremlino deve serrare le fila e chiudere prima possibile la questione siriana, assestando un colpo quasi decisivo alle ambizioni imperialistiche statunitensi.
Ciò implica l’intensificazione dei combattimenti contro i ribelli islamisti sostenuti in maniera sempre più palese dall’Occidente e la creazione di un “gabinetto di guerra” a Mosca.
La prima iniziativa significa la piena attuazione della più volte ventilata no fly zone sui cieli siriani, per cui qualsiasi velivolo non autorizzato dalla coalizione guidata dalla Russia dovrà essere abbattuto anche con l’utilizzo dei missili S-300.
Una misura che non solo permetterebbe la vittoria completa delle truppe di Damasco ma farebbe anche esplodere le attuali contraddizioni in seno alla compagine che siede alla Casa Bianca.
La seconda prevede il coinvolgimento al Governo dei due partiti patriottici attualmente all’opposizione, i comunisti di Zjuganov e i liberaldemocratici di Zirinovskij, sull’esempio di quanto attuato da Slobodan Milosevic in Serbia poco prima dell’attacco della NATO alla Federazione Jugoslava.
Il consenso per una tale coalizione si assesterebbe su oltre il 70% dei votanti ma verrebbe apprezzato e sostenuto anche da quanti chiedono una svolta a livello sociale e una rivoluzione nella mentalità dell’attuale classe dirigente russa 2.
Finite perciò le considerazioni di rito sulle elezioni del 18 settembre, Vladimir Putin si trova ora di fronte ad uno dei bivi più importanti del suo mandato presidenziale e la scelta che compirà influenzerà il destino del Pianeta negli anni a venire.
Note
1 Diana Johnstone, Hilary Clinton. Regina del caos, Zambon editore, 2016.
2 Andrej Fursov, La Russia è pronta a respingere qualsiasi attacco occidentale, 9 settembre 2016, https://aurorasito.wordpress.com/2016/09/11/la-russia-e-pronta-a-respingere-qualsiasi-attacco-occidentale/
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