Dopo aver svolto alcune settimane or sono un convegno dedicato all’ALBA ed alle dinamiche geopolitiche dell’America indio-latina, i rappresentanti del Movimento 5 Stelle in commissione Affari Esteri e Comunitari hanno organizzato venerdì 10 luglio un seminario dal titolo “Il mondo con i BRICS”, proprio in contemporanea con il vertice annuale di queste cinque potenze globali (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Il summit di Ufa, però, si è svolto nell’indifferenza quasi totale dei media e del governo, come denunciato nell’introduzione dell’evento dal vicepresidente della Commissione, l’On. Alessandro Di Battista, il quale ha colto l’occasione per preannunciare il prossimo incontro, da svolgersi dopo l’estate e dedicato proprio all’informazione, con la partecipazione di grossi nomi della cosiddetta “controinformazione”.
Di Battista ha ribadito che il suo movimento “non è filoamericano né filorusso, ma filoitaliano” ed è quindi interessato a informare adeguatamente i cittadini, affinché si rendano conto delle prospettive che il BRICS può offrire all’Italia, che in questo momento versa in una condizione di sudditanza nei confronti degli Stati Uniti d’America. L’aspetto più interessante riguarda ad esempio la nascente banca dei BRICS, che il premio Nobel per l’Economia Muhammad Yunus già auspica che possa compensare le mancanze ed i rigori del Fondo Monetario Internazionale. I parlamentari 5 Stelle, ha ricordato il deputato romano prima di presentare i relatori della sessione iniziale, hanno già presentato una mozione in cui chiedono che l’Italia interrompa le sanzioni nei confronti della Russia, per colpa delle quali è già andato in fumo il 20% dei proventi del tradizionalmente florido commercio italo-russo mentre gli USA hanno contemporaneamente incrementato del 15% i propri scambi con Mosca.
Il consigliere politico dell’ambasciata brasiliana Leandro Zenni Estevão ha aperto i lavori ricordando come il vertice di Ufa sia la diretta prosecuzione dell’incontro di Fortaleza dell’anno scorso, durante il quale la presidenza di turno sudamericana aveva impresso un’accelerazione al consolidamento della collaborazione tra i cinque colossi del BRICS per giungere ad un mondo multipolare. La Nuova Banca di Sviluppo (i soci fondatori per statuto avranno sempre almeno il 55% del capitale ed hanno già versato 10 miliardi di dollari pro capite, in attesa di ulteriori contributi da parte di nuovi partner sino a giungere a quota 100) ed il Dispositivo di Riserva (forte di altri 100 miliardi di dollari, accantonati per garantire supporto agli Stati membri qualora si trovassero in difficoltà finanziarie) sono i primi strumenti concreti di questa cooperazione globale, che era inizata dopo che il fallimento di Lehman Brothers aveva messo a nudo le bolle finanziarie e speculative sulle quali si regge il sistema economico imperniato sugli Stati Uniti. Come in ambito politico il G-20 aveva guadagnato maggiore rappresentatività rispetto ai vertici G-7 e G-8, così si auspicava una riforma della governance finanziaria globale: le strutture FMI si sono tuttavia dimostrate refrattarie ad ogni cambiamento, obbligando i BRICS a compiere una scelta alternativa, che dimostra le loro capacità di intervento congiunto e la fiducia reciproca, testimoniata anche dall’incremento del 300% nei traffici intra-BRICS. La nuova banca, con sede a Shanghai, si occuperà soprattutto di infrastrutture e di sviluppo sostenibile nei paesi in via di sviluppo, in maniera tale da fornire alle economie emergenti investimenti a lungo termine a tassi concorrenziali rispetto al FMI.
Denunciando i rischi che la scarsa informazione potrebbe cagionare all’opinione pubblica occidentale causa l’allineamento dei media al Washington Consensus, il vicepresidente della Commissione Affari esteri del Senato russo Andrey Klimov ha rammentato come sia stato Vladimir Putin uno dei più convinti tra i padri fondatori del BRICS, avendo proposto nel 2006, a latere di una sessione dell’Assemblea dell’ONU, di dare un coordinamento a quelle potenze emergenti che già nel 2001 l’analista di Goldman Sachs Jim O’Neill aveva individuato. Il nucleo originario Russia-India-Cina avrebbe coinvolto rapidamente il Brasile ed in tempi più recenti il Sudafrica, andando a creare un magnete geopolitico capace di primeggiare in molti ambiti macroeconomici, dotato di immense risorse naturali, forte di un arsenale nucleare e munito di proiezione in ambito spaziale. Quasi metà della popolazione già afferisce a questo coordinamento, che si sta occupando non solo di finanza, ma anche di politiche sindacali e commerciali, eppure la stampa embedded parla di “isolamento” rispetto alla comunità internazionale, dimostrando un’incapacità di comprensione quasi patologica. Come Winston Churchill e Franklin Delano Roosevelt furono solerti nell’isolare l’URSS al termine della Seconda guerra mondiale, così oggi il FMI e la Banca Mondiale, create a Bretton Woods nel lontano 1944, si dimostrano un potere consolidato ed immodificabile, anche se gli equilibri economici sono mutati, nonché incapace di comprendere i rischi legati al fatto che l’80% delle transazioni mondiali si basa sul Dollaro statunitense, emesso da istituzioni bancarie private e moneta di uno Stato il cui debito pubblico continua a lievitare ben al di sopra del 100% del PIL. A fronte di questi allarmanti indicatori, il rapporto debito/PIL russo è del 18% ed il prodotto interno lordo cinese ha da poco superato quello statunitense: su queste solide basi prende corpo la banca dei BRICS, aperta anche ad altri soggetti statuali, che però non potranno mai costituire più del 45% del capitale ed i soci fondatori manterranno un potere di veto.
Tra i primi interventi che tale istituto bancario finanzierà, ci sarà sicuramente la Nuova Via della Seta, un corridoio multimodale sulla cui importanza ha fatto ampio riferimento nella sua relazione Tang Youjing, consigliere politico dell’Ambasciata cinese. Tale arteria si propone come un incentivo alla cooperazione regionale (UE, ASEAN e SCO sono già coinvolte) e si articolerà in due rami, uno terreste (7.000 kilometri di tracciato) ed uno marittimo, mettendo in collegamento circa tre miliardi di persone tra Asia, Africa ed Europa. La cooperazione attorno a tale progetto porterà mutui benefici ed il diplomatico cinese ha delineato in particolare i possibili sviluppi della partnership tra Pechino e Roma, a partire dal fatto che, dopo una serie di interventi infrastrutturali da qui al 2025, la rotta marittima si snoderà da Guandong e si concluderà a Venezia, punto di partenza dei viaggi di Marco Polo. Italia e Cina, che nel 2015 celebrano 45 anni di relazioni diplomatiche, possono implementare la cooperazione per la pace nel mondo presso l’Assemblea dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, con particolare riferimento alla sovranità ed alla sicurezza degli Stati interessati dalla New Silk Road. Le competenze italiane in campo ferroviario e portuale saranno poi fondamentali per la costruzione di un robusto asse di trasporto passeggeri su rotaia e di un potenziamento infrastrutturale degli scali marittimi che costituiscono la cosiddetta “Collana di perle”. Il collegamento Italia-Cina consentirà inoltre la produzione condivisa di merci competitive e di qualità da proporre al mercato globale ed agevolerà quel processo di reciproca conoscenza che è richiesto dai sempre più numerosi frequentatori degli Istituiti Confucio: la “Terra di mezzo” in questo periodo si presenta agli italiani con l’imponente padiglione all’Expo di Milano (secondo per estensione solo a quello della Germania) e con altri due spazi aziendali. E la cooperazione sino-italiana è già realtà nell’ambito della Banca Asiatica per gli Investimenti e le Infrastrutture (AIIB), i cui primi passi sono stati boicottati da Washington, ma non abbastanza da impedire ad alleati storici come Italia e Gran Bretagna di prendervi parte. All’insegna del motto “per diventare ricchi bisogna prima costruire le strade”, Tang ha evidenziato come tale istituto bancario surrogherà le onerose e scarse opere di finanziamento attuate dal FMI in Asia, un territorio che ha un bisogno enorme di irrobustire la propria rete infrastrutturale. FMI, WTO e ONU sono stati altresì presentati come obsoleti strumenti scaturiti dalle logiche della Seconda guerra mondiale, che, però, si è dimostrato impossibile sia smantellare sia rinnovare, pertanto si è optato da parte dei Paesi BRICS per la complementarietà.
Zakhele Mnisi, consigliere politico dell’Ambasciata sudafricana, ha ricordato come il suo Stato abbia da sempre cercato la mediazione per risolvere i conflitti e come a partire dalla Conferenza di Bandung del 1955 abbia promosso la collaborazione culturale per osteggiare il neocolonialismo: diventare la S del BRICS e promuovere in tale consesso un nuovo ordine mondiale al cui interno l’Africa acquisisca il suo ruolo, diventava logica conseguenza. Avvicinatosi ai BRIC nel 2011, il Sudafrica ha lavorato da subito per incrementare la cooperazione tra i membri e l’Unione Africana ne ha pubblicamente riconosciuto l’impegno a beneficio di tutto il continente. Prova ne sia il fatto che la Nuova Banca di Sviluppo avrà un ufficio dedicato alle problematiche africane, in maniera tale da assecondare l’alto potenziale di crescita del Continente Nero al di fuori dei lacci del debito imposto dal FMI. Anche dal punto di vista di Pretoria, i BRICS devono essere il motore delle riforme nel sistema internazionale ed impegnarsi anche contro il double standard che spesso condiziona l’operato dell’ONU quando si trovano al centro del dibattito questioni attinenti gli Stati Uniti.
Ha tirato le somme di questa prima sessione di lavori Carlo Sibilia, segretario pentastellato della Commissione Affari Esteri, il quale ha evidenziato come il suo movimento sia proiettato al futuro e a cercare soluzioni al di fuori dei rigidi dettami dell’Unione Europea, nella quale gli ideali originari di coesistenza tra le differenze e di rispetto delle pluralità culturali sono stati schiacciati dalla cieca idolatria dell’Euro. In ossequio alla schiavitù del debito e perseverando nelle autolesioniste sanzioni alla Russia, l’Italia ha visto Gazprom scindere il contratto miliardario stretto con Saipem per lo sviluppo dei gasdotti di collegamento con l’Europa. Di fronte alle politiche condotte dagli “euroinomani”, Roma come Atene dovrebbe invece rivolgersi ai BRICS, ma la realtà è che il governo Renzi non ha detto nulla riguardo il vertice Ufa che rappresentava il 42% della popolazione mondiale. Secondo Sibilia, il mondo unipolare ed i dettami di Bretton Woods stanno implodendo, è in corso una dedollarizzazione della quale devono rendersi conto tutti coloro che vogliono diventare da oggetto delle politiche finanziarie del FMI a soggetto geopolitico: da qui l’auspicio che i BRICS acquistino una seconda I, l’Italia. Il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha, infatti, presentato i BRICS non come un progetto rivolto contro qualcuno, bensì come un nuovo sistema basato sulla sovranità degli aderenti. Dopo aver ricordato la figura di Enrico Mattei, un italiano capace di proiettare in piena guerra fredda la politica economica italiana al di fuori dei vincoli atlantisti, il deputato grillino ha infine citato Thomas Sankara, punto di riferimento per la lotta africana contro il neocolonialismo: la schiavitù del debito è il nemico che accomuna le masse popolari africane ed europee.
Altrettanto appassionato è stato l’intervento di Luciano Vasapollo, professore di economia dell’Università di Roma La Sapienza, che ha ribadito le proprie origini marxiste in virtù delle quali oggi non può riconoscersi nel governo Renzi ed invece si rispecchia nelle rivoluzioni bolivariane che hanno dato vita all’ALBA, un’efficace risposta al pari dei BRICS nei confronti dell’imperante dittatura economica e finanziaria a stelle e strisce. Ricordando l’importanza delle politiche di John Maynard Keynes nell’affrontare la crisi del ’29, il docente ha tuttavia rilevato come soltanto la Seconda guerra mondiale abbia in effetti risollevato del tutto l’economia statunitense: lo sforzo bellico prima e in seguito gli aiuti veicolati attraverso il Piano Marshall per ricostruire un’Europa pesantemente bombardata dagli angloamericani stessi. Dopo aver creato il sistema di Bretton Woods che ancora incombe su gran parte del mondo, gli statunitensi nel 1971, denunciando la convertibilità del dollaro in oro ed imponendo il petrodollaro come valuta di riferimento internazionale, hanno ulteriormente aggravato la situazione. Altro passaggio epocale viene identificato nella caduta del Muro di Berlino: nel mondo unipolare si sono scatenate le guerre etniche ed economiche, mentre le sinistre europee hanno favorito la creazione di un “polo imperialista europeo germanocentrico”. Quest’ultimo ha di fatto colonizzato i PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), i quali hanno subito un processo di deindustrializzazione, delocalizzazione delle realtà produttive e precarizzazione, con il colpo di grazia per l’Italia che la conversione Lira/Euro ha di fatto dimezzato il potere d’acquisto dei salari. Il debito usuraio greco ed il blocco a danno di Cuba sono aspetti della guerra economica in corso e la scelta di default attuata in Argentina ed in Ecuador ha dimostrato a lungo termine di essere una soluzione praticabile e proficua in termini di sviluppo sociale.
Con riferimenti agli effetti del Piano Marshall in Europa occidentale è iniziato pure l’intervento del professor Ramon Franquesa, docente di economia all’Universitat de Barcelona, il quale ha poi spaziato sui deleteri effetti che il pesante indebitamento ha cagionato in Africa ed America del sud, ove l’imposizione di nuovi modelli agricoli ha contribuito ad aumentare la fame ed il sottosviluppo. Per come è strutturata oggi, l’Unione Europea ha privato della preziosissima leva della politica monetaria gli Stati membri, che si trovano ad affrontare il circolo vizioso del debito pubblico potendo usufruire solo della politica fiscale, giungendo a situazioni catastrofiche come in Grecia. A tal proposito, Franquesa ha stigmatizzato il Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, il quale oggi denigra Atene e la sprona all’austerità più cinica dopo aver favorito l’evasione fiscale ai tempi in cui da Primo Ministro del Lussemburgo attuò politiche atte a favorire lo spostamento della sede fiscale delle grandi aziende nel Granducato. Ancora una volta, i BRICS vengono presentati come l’unica via possibile per uscire dalla crisi ed approdare ad un mondo multipolare che abbia anche un atteggiamento rispettoso nei confronti delle ex colonie europee.
Leonidas Vatikiotis, giornalista ed economista, ha esordito definendo il referendum ellenico di domenica scorsa un “terremoto politico”, in quanto “Ochi” ha vinto nonostante la pesantissima campagna a favore del Sì orchestrata dai media, le pressioni della tecnocrazia europea e le scelte della BCE che hanno portato alle file davanti agli sportelli bancari. Una Banca Centrale Europea che peraltro rifiuta di concedere a condizioni meno gravose un terzo prestito alla Grecia dopo quelli del 2010 e 2012, ma investe mensilmente 65 miliardi di Euro per sostenere il Quantitative Easing. Il relatore greco ha evidenziato come Syriza e tutta l’opinione pubblica siano adesso spaccati tra sostenitori a oltranza dell’esito referendario e disponibili alla trattativa a partire dal pacchetto di austerità che sta varando il nuovo ministro Euclides Tsakalotos, maggiormente conservatore rispetto a Yanis Varoufakis. Per uscire dall’impasse sono state presentate varie opzioni: la nazionalizzazione delle banche, la cancellazione unilaterale del debito pubblico (che un gruppo di lavoro ha definito “illegale, odioso ed illegittimo”), l’uscita dall’Euro al fine di potersi riappropriare della sovranità monetaria e la creazione di una comunità economica euromediterranea, un progetto quest’ultimo che valorizzerebbe pure l’Italia.
Conclusione dei lavori affidata al capogruppo grillino in Commissione Esteri, Manlio Di Stefano, il quale ha auspicato che il governo italiano sappia essere dinamico ed al passo con l’evoluzione dei tempi: oggi pertanto i BRICS rappresentano la via d’uscita dall’imperialismo statunitense, ferme restando le garanzie di rispetto della sovranità degli Stati membri e di creazione di un ordine multipolare che stanno alla base di tale progetto. Il movimento fondato da Beppe Grillo si fa insomma carico di una campagna per la corretta informazione del popolo italiano riguardo tali tematiche, per poter così giungere a scelte ponderate di politica estera non vincolate ai legami transatlantici.
Lorenzo Salimbeni
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