I. Dibattiti sulla cultura strategica dell’India
I dibattiti sulla cultura strategica dell’India nascono dall’inchiesta “Pensiero strategico indiano”, abbozzato dalla Rand Corporation nel 1992. Dopo aver analizzato le influenze della geografia, della storia, della cultura e del dominio britannico (altrimenti conosciuto come il Raj) sul pensiero strategico indiano, il Dr. George K. Tanham, autore dell’inchiesta, ha concluso che l’India è stata a lungo afflitta dalla mancanza di un pensiero strategico. Tanham ha sostenuto anche che durante la maggior parte della sua storia, l’India è stata sulla difensiva strategica. La ricerca pioneristica e le conclusioni dell’inchiesta da parte della Rand ha scioccato le comunità strategiche e accademiche indiane e ha dato il via ad accesi dibattiti che permangono ancora oggi. Questi dibattiti, che ruotano intorno alla domanda in cui ci si chiede se l’India abbia una cultura strategica, possono essere riassunti come segue:
1. Rodney W. Jones e “cultura strategica composita”
Da questa prospettiva accademica, la cultura strategica dell’India è come un mosaico, non monolitica. Eppure, in confronto alla maggior parte degli stati-nazione contemporanei, è più distinta e coerente di molte nazioni a lei simili. Questa coerenza è dovuta alla sua sostanziale continuità e al simbolismo contemporaneo dei sistemi statali indiani pre-moderni e alla civiltà vedica che ha ancora un impatto sulla società odierna, anche se tutto ciò risale a diversi millenni fa. La prospettiva culturale strategica è stata abbracciata dalla maggior parte delle elite sociali indiane.
2.Dibattiti sull’origine, sui processi e sugli attributi del pensiero strategico indiano
Harjeet Singh sostiene la teoria del determinismo geografico secondo cui la geografia dell’India le ha causato la mancanza di un senso unitario di “Indianismo”. La straordinaria storia dell’India è intimamente legata alla sua geografia. Dal momento che si trova in un punto focale del continente asiatico, l’India è stata sempre sensibile a invasioni e saccheggi provenienti dall’esterno. Ma la sua insularità geografica le ha anche permesso di sopravvivere alle devastazioni e quindi di adattarsi e di assorbire molti dei popoli che sono arrivati nel subcontinente.
Il vasto territorio, la struttura interna complicata e la forte tensione culturale l’hanno aiutata ad evitare dominazioni lunghe e continue di un unico impero. La geografia autointegrata del subcontinente e la diversità politica rimangono le sue caratteristiche di base. La storia culturale politica e strategica dell’India può essere sintetizzata dall’antica favola che racconta la storia di quattro ciechi che toccano un elefante. Gautam Das ha risposto al Dr. George K. Tanham in due punti principali. In primo luogo, secondo Das, un errore logico fondamentale nello studio di Tanham, il quale ritiene ingiustamente, che l’India sia un’entità politica monolitica, nega le conclusioni di Tanham.
“Non importa quanto profonda sia l’interpretazione di Tanham, essa è in sè sbagliata e questo errore nega la maggior parte delle sue conclusioni […] L’India geografica, o parlando in senso lato il ‘subcontinente indiano,’ come è stato descritto, era una regione composta da vari regni in epoche diverse, e pochi imperi politici. A quei tempi c’era più di un impero in India, ognuno a capo di una regione diversa. Quindi, in assenza di una India politica prima dell’agosto 1947, è futile parlare di ‘pensiero strategico indiano’. In secondo luogo, nell’opinione di Das, una revisione della cultura strategica dell’India non dovrebbe essere limitata solo al periodo del Raj britannico; piuttosto, anche le influenze di altre entità politiche nella storia dell’India dovrebbero essere prese in considerazione. Infatti, Tanham sostiene che “la mancanza di un’entità politica in India ha causato una mancanza di pensiero strategico e di pianificazione preventiva”, ma nel corso della sua analisi, tralascia l’influenza di entità politiche non tradizionali nell’Asia meridionale. Confrontato col primo, il secondo ragionamento di Das sembra arrivare dritto al punto – non si può negare che le entità politiche nel subcontinente abbiano tutte esercitato un certo impatto sul pensiero strategico indiano in momenti diversi e che la sua diversità culturale strategica si è sviluppata da suddette condizioni.
3. Considerazioni sullo studio del pensiero strategico indiano contemporaneo
Nell’ottica di Kanti Bajpai, la cultura strategica dell’India è stata a lungo dominata dalla visione del mondo del moderno Primo ministro del paese, Jawaharlal Nehru. Ma la situazione sta cambiando, col Nehruvianismo, neoliberismo e iperrealismo che ora competono tra di loro.
Ovviamente, le tre scuole e categorie accademiche più importanti delle relazioni internazionali occidentali- cioè, costruttivismo, neoliberismo e realismo- appartengono ora all’ecosistema del pensiero strategico contemporaneo dell’India. Nemmeno Bajpai propone un impianto di lavoro indipendente per l’analisi culturale strategica nè definisce la relazione tra la cultura strategica dell’India e il suo comportamento internazionale, e questi potrebbero essere i difetti maggiori dello studio di Napaj. Jaswant Singh concorda parzialmente con Tanham, ma nell’opinione di Singh, a causa di una forte consapevolezza sociale ma un debole senso di identità nazionale, l’India è priva di una cultura strategica incentrata sullo Stato indiano e il suo concetto di nazione è meno forte di quello della Cina.
Secondo Singh, l’indiano medio non si preoccupa di chi governa lo Stato fintantoché la struttura sociale di base del Paese rimane intatta. É un errore restringere la cultura strategica all’ambito militare – la cultura strategica non nasce dalle sole Forze Armate ma è il prodotto di numerosi fattori interattivi come la civiltà e l’evoluzione sociale e culturale.
K. Subrahmanyam appoggia il punto di vista di Singh, sostenendo che questi sono i contributi concettuali più grandi di Singh. Sfortunatamente, nel suo libro “Defending India” (A difesa dell’India), Singh mostra alcune ovvie incongruenze che fanno parte del suo punto di vista. Nelle primissime pagine del libro, Singh respinge gli studiosi che limitano la cultura strategica alla cultura della guerra, ma in seguito rimane bloccato proprio in questa logica.
Il saggio di Tanham ha scatenato numerose repliche, dibattiti e controteorie, guidando l’autoriflessione strategica dell’India e spronando la formazione di un meccanismo di sicurezza dell’ attività decisionale. Ciononostante, da una prospettiva accademica, nessuna di queste ricerche ha superato il saggio di Tanham, in cui sono state condotte ricerche all’interno del suo framework di ricerca. I critici, specialmente in India, affermano che come neofita della questione indiana, Tanham “ forse non è in grado di pensare a fondo su un tema così complesso”. Ma a allo stesso tempo, “parte della critica è stata fatta con un leggero imbarazzo poichè quasi nulla era stato scritto sul tema prima che George avesse la temerarietà di affrontarlo”.
Inoltre, a causa della scarsità di letteratura e dell’evoluzione della storia indiana, è anche ragionevole per Tanham, concentrare il suo studio sulla geografia e sul dominio britannico perchè l’India ha ereditato molte pratiche britanniche, anche dopo il ritiro delle truppe inglesi. Riguardo alla ricerca culturale strategica indiana sul periodo post-Guerra fredda, è ampiamente dibattuto se è appropriato che Bajpai applichi semplicemente le teorie delle relazioni internazionali occidentali all’analisi della cultura strategica dell’India anche se queste stesse analisi si trovano all’interno delle definizioni presentate da studiosi come Jeffrey Legro e Elizabeth Kier.
II. Forme ed efficacia della cultura strategica indiana
In quanto alla domanda di come la cultura strategica indiana sia capace di esercitare un impatto sulle sue scelte strategiche e sul comportamento internazionale, il” paradigma culturale strategico” concettualizzato da Alastair Iain Johnston è in grado di offrire alcuni punti di riferimento preziosi. Primo, c’è l’ipotesi che l’ambiente strategico costituisca il paradigma centrale di una cultura strategica, incluso il ruolo della guerra nelle relazioni umane, la natura dell’avversario e la valutazione della minaccia e l’efficacia dell’uso della forza. Secondo, se si accetta il paradigma centrale, si può applicare una lista di preferenze riguardo alla linea politica da adottare in modo da essere dedotta per tempo. Ovviamente, il nucleo di questa teoria culturale strategica è la cultura della guerra e l’efficacia dell’uso della forza.
Per la sua semplice struttura e la sua logica esplicita, questa teoria soddisfa le aspettative della gente- cioè, che la cultura strategica di un Paese può spiegare il suo comportamento in fatto di sicurezza. Ma la teoria trascura i fattori non bellici del sistema culturale strategico.
La cultura strategica è formata dalla visione del mondo di un Paese, dal giudizio delle relazioni soggetto-oggetto e dal modello di comportamento basato su geografia, storia, sviluppo economico e politico di quel Paese. L’interazione tra questi simboli può creare un’identità nazionale collettiva distinta da altri Paesi e nel frattempo limitare l’ambiente sociale e culturale delle sue decisioni strategiche.
Questa teoria mira a introdurre la mentalità di analisi dell’ attività decisionale per un’esplorazione della cultura strategica indiana e del suo comportamento internazionale. Essenzialmente, considera la cultura strategica come un tipo di ambiente per indurre coloro che prendono decisioni ad aumentare l’interesse per la sicurezza e mira a offrire norme basiche grammaticali, situazioni di valutazione, e revelation motives e suggerire scelte per l’attività decisionale strategica.
Quindi, questo studio fissa la cultura strategica come una variabile di intervento e, attraverso la cultura strategica interna di coloro che prendono decisioni, cerca di mostrare queste variabili nel processo di valutazione dell’ambiente di sicurezza nazionale, nella definizione degli interessi di sicurezza come anche nelle preferenze e nelle scelte strategiche. In riferimento alla logica della dicotomia di Alexander George usata nell’analisi dei sistemi di credenze, questo studio tenterà anche di definire le forme della cultura strategica dell’India prendendo in considerazione la dimensione filosofica e strumentale.
La filosofia dietro la cultura strategica filosofica dell’India include principalmente: elementi basati sulla spiritualità delle credenze religiose e sul misticismo; il concetto dell’India come un dono naturale; la gerarchia internazionale, la visione del mondo indiana collegata alle sue credenze religiose e al sistema delle caste; il concetto di ugualglianza tra Dio e la verità, quest’ultima chiarita da Mohandas Gandhi; e il dogma secondo cui la verità è la fonte della forza e dell’azione. Nonostante le difficoltà per identificare queste qualità, l’influenza di queste forme filosofiche culturali strategiche sono di vasta portata. Le forme culturali strategiche strumentali includono l’opinione secondo cui l’India è una repubblica in cui vige libertà di credo, diversità ideologica e democrazia secolare; che l’India è una grande potenza in un ordine internazionale disuguale e che la multipolarità globale gioverà agli interessi nazionali dell’India; che l’India è un sostenitore e un tutore del non allineamento; e che l’India è sotto le moderne influenze dell’antico pensiero geostrategico del Mandala e l’eredità del pensiero di sicurezza strategico proveniente dalle autorità anglo-indiane.
Il potente “campo magnetico” della cultura sociale formata dalla cultura strategica non può essere superato da nessun attore sociale e non può penetrare nei loro metodi di riflessione e influenzare le loro decisioni e attività. La correlazione tra la cultura strategica dell’India e le sue scelte strategiche e il comportamento per la sicurezza è mostrato dal fatto che il “campo magnetico” della cultura sociale prodotta dalla cultura strategica indiana ha più o meno inquadrato la direzione e l’ambito delle scelte strategiche internazionali del Paese e il comportamento per la sicurezza.
III. Cultura strategica dell’India: Verso un binomio di offensiva-difensiva
La società indiana è stata a lungo dominata da una psicologia paradossale. Da una parte, la sua posizione geografica unica ha dato modo di sviluppare un senso di sicurezza tra gli abitanti eppure l’Asia meridionale è stata ripetutamente esposta a incursioni e dominazioni esterne. Quindi, la prima convinzione fa crescere il senso di orgoglio e sicurezza mentre l’altra comporta un sentimento di ansia e sensibilità verso la sicurezza nazionale. Ciononostante, la capacità di assorbimento e l’adattabilità relativamente forte della società indiana ha causato un tale paradosso da raggiungere un tipo di equilibrio da evolversi in un orientamento culturale strategico difensivo. E’ difficile valutare l’orientamento culturale strategico indiano soltanto da un unico punto di vista.
La cultura strategica è prima di tutto un prodotto della geografia naturale e della storia umana, perciò mantiene la natura di stabilità e continuità e allo stesso tempo porta con sè rivendicazioni realistiche di natura politica, economica e sociale. Vista dalla storia dell’interazione tra il subcontinente e il resto del mondo, è ragionevole considerare che la cultura strategica dell’India ha mantenuto una posizione di difesa. Ciononostante, la cosiddetta “cultura strategica difensiva” perde la sua legittimità ed è almeno in parte falsa se si prendono in considerazione la diversità e l’interazione delle entità politiche interne del subcontinente indiano, i suoi pluralismi e le sue complessità socioculturali. Le motivazioni sono le seguenti:
1. La diversità delle entità politiche dell’India nega la sua inclinazione culturale strategica unitaria
Prima del 1858, non c’è mai stata una vera e completa entità politica in India e il pensiero strategico dei diversi imperi indigeni esistiti nel corso del tempo, come il Kaligan, Chola, Maratha, Gujarati e il Punjab e il pensiero strategico del Bengala, hanno avuto un certo impatto sul pensiero strategico indiano. Per esempio, il pensiero strategico di Chola includeva la conquista militare d’oltreoceano all’interno dell’Oceano indiano e la colonizzazione di quella che oggi è conosciuta col nome di Indonesia. A differenza del pensiero strategico cinese, che ha adottato la mentalità della “Grande Muraglia-a difesa dei barbari”, il pensiero strategico del Punjab evidentemente non include una difesa continua della linea di confine del fiume Indo per prevenire le incursioni armate dalle montagne abitate dai Pashtun oltre l’Indo. Il pensiero militare del Kalinga includeva le spedizioni d’oltremare attraverso la Baia del Bengala per la conquista dell’odierna Malesia. Il pensiero strategico della zona centrale dell’India ha evidentemente permesso ai Rajput del sud di riunirsi per sconfiggere un’invasione araba del moderno Gujarat nella battaglia di Navsari del 738 d.C.
Influenze significative dell’Impero Moghul sulla cultura strategica indiana
In primo luogo, i concetti di amministrazione e tattiche politiche dei sovrani Moghul hanno causato cambiamenti, caos e persino conflitti nell’ideologia e nell’identità sociale indiana tuttora esistenti. Per esempio, politiche diametralmente opposte adottate dagli imperatori Moghul Akbar e Aurangzeb hanno sprofondato nel caos l’identità sociale indiana. Il rifiuto di Akbar di considerare l’India uno stato musulmano ha diviso la comunità musulmana, mentre le misure opposte adottate da Aurangzeb sulla stessa questione, hanno avuto ugualmente conseguenze nella divisione della società indiana.
Come dato di fatto, nonostante abbiano mantenuto politiche opposte, entrambi gli imperatori hanno condiviso lo stesso proposito di avere a che fare con i Sikh e i Rajput e, perfino gli Indù hanno dovuto affrontare il sospetto e la discriminazione. Tutto questo ha contribuito senza ombra di dubbio alla divisione India-Pakistan e alle contraddizioni e ai conflitti tra i diversi gruppi religiosi che durano ancora oggi. Per questo, le elite politiche indiane non hanno mai osato ignorare la sicurezza sociale nazionale al momento di ideare piani strategici.
In secondo luogo, l’eredità dei Moghul non è preservata solo attraverso il magnifico Taj Mahal e le innumerevoli moschee. Esercita la sua influenza anche attraverso i delicati cambiamenti che ha portato all’ originale pensiero militare dell’India il quale ha prodotto influenze di vasta portata. L’impero Vijayanagara, che è considerato come la rappresentazione tradizionale dell’India, non è nemmeno riuscito ad andare oltre tale logica storica. Vista come l’ultimo bastione dell’Induismo, la dinastia Vijayanagara è ritenuta la rappresentante della religione e della cultura dell’antico Stato indiano e supporta la missione di proteggere le tradizioni dell’India che possono essere distrutte da una marea di nuovi concetti e forze.
Tuttavia, sempre più studi hanno mostrato che l’impero Vijayanagara è lontano dall’essere il difensore della cultura sociale indiana tradizionale ed è invece il portavoce di drastici cambiamenti nell’organizzazione politica e militare in un momento di turbolenze sociali ed economiche. Nel XVI secolo, nè l’imperatore dei Vijayanagara nè gli altri Stati satellite vedevano la difesa dell’Induismo come una missione di primaria importanza.
Non erano più esaltati dal potere dei soldati sull’elefante, ma dipendevano dalla cavalleria, in cui i musulmani eccellevano insieme ad altre innovazioni militari, come il sistema della fortezza reale comandata dagli ufficiali militari brahmani, i mercenari di artiglieria musulmani e portoghesi, la fanteria formata da non-contadini o non taglialegna allo stesso modo della cavalleria leggera comandata da ufficiali militari di livello più basso. Ciò serve da esempio per comprendere come il concetto di guerra, il pensiero militare e le strategie di offensiva-difensiva sono state alterate. Le vicissitudini dei concetti ideologici e degli strumenti da guerra influenzano inevitabilmente i connotati e l’orientamento culturale strategico dell’India.
2. Il potere militare e le risorse socioculturali nel subcontinente non sono sempre state sulla difensiva passiva
Sullo sfondo di incursioni straniere su larga scala relativamente frequenti e la conquista dal nord, gli attacchi preventivi dell’India o l’espansione in direzioni diverse, il potere militare del subcontinente non si è sempre fondato sulla difensiva passiva. Proprio come i Secoli bui che annunciavano l’avvento dell’Illuminismo, l’ ”era delle incursioni” che l’India ha subito, ha significato un’altra forma di espansione perchè “ ogni incursione da parte dei non Indiani dell’Asia centrale è stata seguita dall’espansione opposta degli Indiani verso il Sud est o l’Asia centrale”.
L’imperatore di Maratha, Shivaji, famoso per la sua astuzia, crudeltà e sagacia, costruì un impero indipendente e si unì al sultano di Golconda in assenza di minaccia di attacco a sud contro Bijapur da parte dei Moghul. Dopo essere salito al trono e aver mantenuto una politica espansionistica, il figlio di Shivaji guidò un esercito di 180.000 soldati in una spedizione a sud verso la regione Tamil. E anche la diffusione culturale dell’India iniziò dopo che la regione subì incursioni dall’esterno. I due processi, che si sono incrociati l’uno con l’altro, sono continuati per più di 2000 anni. La fragilità politica e commerciale insieme alla prosperità culturale hanno creato un’altra caratteristica evidente della storia indiana.
3. Il determinismo dell’eredità della civiltà indiana è una contraddizione
Il concetto centrale dell’Induismo, che sostiene l’eternità spirituale, costituisce il fondamento del sistema sociale indiano e penetra nella filosofia, nella religione, nella letteratura e nell’ arte. In pratica, il concetto genera rispetto per i saggi e irriverenza per i politici, dando più importanza agli affari civili piuttosto che a quelli militari. Secondo il punto di vista del filosofo indiano Sarvepalli Radhakrishnan, che è anche il secondo presidente indiano, l‘importanza della ricchezza e del potere sono stati in teoria riconociuti, ma non applicate alla pratica e ciò ha danneggiato profondamente l’India.
Tuttavia, i conflitti interni dell’India tra differenti credi e gruppi etnici affiorano periodicamente in superficie ed è sempre più frequente l’uso della forza contro gli altri Paesi. Le dottrine di Asoka sono le principali fonti dell’ideologia non violenta di cui l’India è orgogliosa e la filosofia politica di Gandhi è stata profondamente influenzata da Asoka. Nell’opinione di K. Subrahmanyam, le basi ideologiche di Gandhi per un governo indiano non violento, risiedono nella sua profonda convinzione che l’India possa diventare uno Stato non violento come Asoka stesso credeva, ma non si tratta di una ricetta istantanea bensì di un obiettivo ideale e a lungo termine. Nonostante ciò, il codice di Gandhi e la pratica non violenta non ha tenuto conto della realtà di violenza di tutto il mondo, sia difensiva che offensiva. Quando l’India si confronta con una minaccia da parte di un paese aggressivo, il movimento di massa non violento su larga scala non potrà essere efficace e l’uso della violenza sarà inevitabile.
C’è un fenomeno che non può essere ben spiegato dalla storia indiana. Dopo aver sconfitto il suo ultimo rivale Kalinga, Asoka è diventato cosciente dell’odore del sangue e della crudeltà e ha deciso di abbandonare l’uso della forza diventando sostenitore della tolleranza e della non violenza. In seguito, è stato ordinato che nessuno andasse in guerra. Tuttavia, molti Stati locali erano all’epoca ancora in guerra e alla fine mandarono in rovina l’impero Maurya. Con chi erano in guerra questi piccoli Stati? Asoka e Akbar cercavano tolleranza religiosa e mutua comprensione tra i gruppi etnici, ma i conflitti religiosi non sono mai cessati. Ne consegue che la tolleranza e la non violenza propugnata da Asoka sono difficilmente attuabili.
Ovviamente non si può spiegare il paradosso della cultura strategica dell’India e del comportamento internazionale basandosi su un unico aspetto e un unico quadrante; ciò può invece provare l’irragionevolezza del dibattito per la cultura strategica difensiva dell’India, un dibattito basato sulle credenze religiose indiane e sul pensiero taoista. Il pensiero strategico indiano ha in sé non solo le tracce di una moralità religiosa ma anche di una connotazione ideologica realistica rappresentata nel testo Arthasastra di Kautilya. Persino la visione strategica e le pratiche comportamentali in nome delle norme legali non possono camuffare la natura realista dell’India.
Dal momento che la guerra e la pace sono entrambi temi da sempre presenti nella cultura strategica indiana, come ha espresso l’India il suo atteggiamento e la sua preferenza verso la guerra? La cultura strategica indiana non elogia l’atto della guerra ma approva la guerra del bene contro il male. Il Rigveda, la shastra (sacre scritture vediche), contiene i poemi più encomiastici, quasi 250 in totale, al dio Indra, un quarto dei suoi poemi totali. Il Ramayana e il Mahabharata, due dei più grandi poemi epici, parlano della guerra e trattano il tema delle rivalità come qualcosa di naturale e normale. Inoltre, Kautilya ha affrontato l’uso della forza dettagliatamente. Mentre Gandhi ha respinto l’uso della forza e ha contrastato la violenza in politica, Kautilya è stato politicamente di polso e irremovibile e ha accettato una dose appropriata di violenza poichè inevitabile in certe circostanze.
Tutto questo riflette la natura realista dell’India. Nella visione dei realisti, non c’è spazio per la moralità e l’etica. Il pesante gene realista che risiede nella cultura strategica dell’India è incapace di dedurre che questo Paese ha una preferenza strategica offensiva, ma è capace di negare la teoria della sua preferenza strategica difensiva. Si può dunque concludere che la cultura strategica dell’India non è nè interamente difensiva nè meramente offensiva, ma piuttosto una combinazione di iniziative a livello offensivo e difensivo.
IV. Caso di studio sulla cultura strategica internazionale dell’India e sul comportamento internazionale
Come sopra accennato, questo articolo non crede che ci sia un tipo di relazione funzionale tra la cultura strategica dell’India e il suo comportamento internazionale ma pone la cultura strategica come coefficiente per l’attività decisionale strategica dell’India e le scelte comportamentali, le quali appartengono a un mucchio di variabili di intervento. Come principale vettore della cultura strategica, le elite sociali e i decision makers hanno già assorbito l’essenza del pensiero strategico nazionale e quindi esercitano un impatto sulle scelte strategiche e il comportamento internazionale di Nuova Delhi. Saranno selezionati e analizzati tre casi per identificare le correlazioni tra la cultura strategica dell’India e il comportamento internazionale.
Caso 1: Progetto di armi nucleari e strategia della deterrenza nucleare minima
Il programma di sviluppo nucleare dell’India è cominciato agli inizi del suo periodo di indipendenza ed è diventato sempre più inequivocabile verso la metà degli anni ’60. Approfittando delle eccezioni poste nel cosiddetto “test nucleare pacifico contenuto nel Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), l’India ha iniziato lo sviluppo delle “armi nucleari” in nome dello sviluppo nucleare pacifico. Ha condotto la prima “ esplosione nucleare pacifica” nel 1974.
L’India ha portato avanti numerosi test nucleari nel 1998, nel momento critico dell’estensione indefinita e incondizionata del TNP e della firma del Comprehensive Nuclear Test Ban Treaty (Trattato complessivo dei test nucleari) (CNTBT), inasprendo la competizione con il Pakistan. Tutto ciò non solo ha peggiorato l’ambiente di sicurezza regionale, ma ha anche rappresentato una sfida al sistema del trattato di non proliferazione internazionale. Nel 1954, l’India propose di siglare un patto internazionale per proibire i test internazionali, ma se la politica iniziale sul nucleare di Nuova Delhi mostrava un minimo di moralità e di idealismo, in seguito il suo programma di sviluppo di armi nucleari in nome della “pacifica esplosione” evidenzia un esempio di strategia scaltra e realistica.
L’India sostiene che tutti e cinque i membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sono potenze nucleari e il loro status di grandi potenze è stato riconosciuto a livello internazionale. Per questo, come grande nazione ad aver spinto per prima per siglare l’accordo del divieto internazionale sui test nucleari, l’India, analogamente alla Cina, vuole possedere armi nucleari a riprova del suo status di grande potenza. Alcuni intellettuali indiani credono che la pace internazionale può essere mantenuta se il possesso di armi nucleari dai cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza fosse applicabile all’India. Per estensione, l’India deve quindi condurre test nucleari per avere le sue armi atomiche dato che l’estensione indefinita del TNP e l’accordo del CNTBT la priveranno perennemente del diritto di possedere armi nucleari e di qualificarsi come potenza mondiale. Il cosiddetto “ deterioramento dell’ambiente di sicurezza dell’India” non è altro che il pretesto di Nuova Delhi per sfidare le opinioni internazionali e continuare con i test nucleari.
Esaminando lo sviluppo delle armi nucleari, dalla prospettiva della cultura strategica, si manifesta un quadro totalmente diverso. Nell’idea di molti Indiani, l’India dovrebbe essere (senza dubbio) una potenza mondiale. Questa convizione è profondamente radicata nella civiltà indiana ed è quindi venuta fuori sotto forma di percezione collettiva per cui l’India dovrebbe naturalmente essere una grande nazione. Il suo status di grande potenza è quindi percepito come un’esistenza oggettiva, un fatto che gli altri paesi devono riconoscere e a cui adattarsi di conseguenza. La struttura sociale delle caste e il codice di comportamento ha ulteriormente rafforzato la coscienza dell’India e conferito una distinta connotazione alla sua cultura strategica.
Il concetto inveterato delle caste ha conferito ai membri delle caste superiori privilegi e una posizione vanataggiosa e, insieme alla religione, è ricolmo di una percezione di sè profondamente velata e sacra ed è penetrato nel mondo spirituale e materiale indiano. Questo ha causato la formazione di un modello di amministrazione basato sulle elite nazionali e di alto livello. Dopo l’indipendenza, le elite sociali indiane hanno applicato questa mentalità alla comunità internazionale anticipando la convinzione che lo status e il ruolo dell’India all’interno della comunità internazionale, quella con la gerarchia come caratteristica di base, dovesse essere naturalmente predeterminata.
In India , si pensa che la spiritualità e il misticismo della religione induista possa conferire legalità morale e razionale allo status internazionale del paese, mentre la struttura sociale delle caste e i concetti del Mandala geopolitico e dei concetti di amministrazione (rappresentati da Arthasastra) hanno provato la legalità e la fattibilità dell’idea.
Le elite indiane che un tempo spingevano per il movimento nazionalista moderno dell’India e in seguito hanno gestito le relazioni del paese col mondo esterno nel periodo dopo l’indipendenza, continuano ad avere un complesso di superiorità e cercano di farlo diventare una realtà concreta.
Le attrattive della grande potenza indiana spesso contrastano duramente con lo status quo internazionale e quindi, nella visione di alcuni Indiani, è necessario che il Paese sviluppi armi nucleari e applichi una “ deterrenza nucleare minima e credibile” per costruire la cosiddetta strategia di deterrenza “multidirezionale”. Secondo loro, questo aiuterà l’India ad acquisire un senso di equilibrio psicologico e di soddisfazione e aiuterà il paese ad agire come le altre potenze nucleari. Sul problema dei test nucleari, Indira Gandhi ha chiesto risolutamente che tutti i lavori preparatori per i test nucleari procedano come pianificato. La sua logica è molto semplice: l’India doveva mostrare le sue capacità nucleari, proprio come Raja Ramanna, responsabile del progetto di esplosione nucleare nel 1974, aveva fatto.
Inoltre, la strategia della deterrenza nucleare dell’India mira anche a fare i conti con “la minaccia potenziale immaginaria da parte della Cina”, come pure con la presenza di altre potenze non regionali che hanno influenza nell’Asia meridionale e nella regione dell’Oceano Indiano. Ad ogni momento critico che coinvolge lo sviluppo delle armi nucleari, il solo principio che influenza l’attività decisionale dell’India è la sua ragion di Stato e il consenso nazionale. Il test nucleare dell’India nel maggio del 1998 fu il risultato di importanti decisioni prese in precedenza e i leader indiani pensarono che questa scelta fosse “giusta e opportuna”. Ciò può riflettere in parte l’azione predefinita della cultura strategica. Se le prime politiche nucleari mostravano maggiormente qualità idealiste e difensive del pensiero strategico indiano, in seguito le politiche nucleari dopo gli Anni ’70, specialmente lo sviluppo aperto di armi nucleari, ha reso più evidenti gli impulsi e le caratteristiche aggressive del pensiero strategico indiano.
Caso 2: Ricerca di un vantaggio strategico esclusivo nell’Asia meridionale e nell’Oceano Indiano
Il comportamento strategico dell’India nell’Asia meridionale e nella regione dell’Oceano Indiano può essere meglio compreso attraverso le sue interazioni con gli attori regionali e non regionali. Da queste due prospettive, le azioni dell’India possono entrambe riflettere le influenze del pensiero del Mandala geostrategico e del pensiero strategico anglo-indiano, come anche l’orientamento offensivo-difensivo della sua cultura strategica.
1)Influenze del pensiero geostrategico del Mandala
Il pensatore realista Kautilya ha presentato una serie di tattiche governative di Stato che includono pace, guerra, neutralità, manifestazioni, allineamento/sheltering e la doppia tattica guerra-pace. Dalla sua indipendenza, il comportamento internazionale dell’India si è evoluto in linea con la sua logica teorica. Per cominciare, l’India non ha mai stabilito buone relazioni con i paesi vicini del subcontinente. E’ stata a lungo impegnata in una rivalità col Pakistan ed è anche lontana dall’essere in buoni rapporti con Bangladesh, Nepal e Sri Lanka. L’antagonismo con i paesi confinanti rimane uno degli elementi principali della politica estera indiana.
Ha anche conosciuto alti e bassi nei suoi legami con paesi non regionali quali la Cina, facendo addirittura guerra alla Cina nella sua spinta verso una “politica di crescita.” Le relazioni dell’India con la Birmania, un paese costiero ad essa confinante, non sono particolarmente facili. D’altro canto, l’India lavora per sviluppare rapporti positivi con Argentina, Iran, Vietnam e Russia. Tuttavia, è sempre in uno stato di allerta mantenendo un atteggiamento difensivo verso legami interattivi con qualsiasi paese non regionale, specialmente con le grandi potenze, ed altri paesi del subcontinente. Potrebbe non trattarsi di una mera coincidenza storica. Il forte potere magico del pensiero geostrategico del Mandala e la sua intenzione strategica di perseguire l’egemonia regionale nell’Asia meridionale sono del tutto evidenti.
2) Eredità della strategia di sicurezza dal Governo anglo-indiano
L’India ottenne l’indipendenza attraverso il movimento non violento di non cooperazione, e il modello politico, la composizione di governo, l’amministrazione sociale, la politica diplomatica e il concetto di difesa nazionale hanno beneficiato di intimi legami con l’India del dominio britannico. Quando era una colonia dell’Impero britannico, l’India naturalmente non aveva imprese per la sicurezza marittima e ha ereditato le pratiche per la sicurezza dai dominatori successivi del subcontintente- cioè, ha concentrato la strategia difensiva sulla sicurezza territoriale e considerava la costruzione delle “linee di frontiera strategiche a tre punte” nel nord e la “zona cuscinetto tibetana” come strategia essenziale. Quindi, il governo indiano post-indipendenza ha ereditato completamente numerosi concetti strategici dai suoi predecessori, sebbene in forme diverse, dati i cambiamenti geopolitici nel subcontinente e la liberazione del Tibet cinese.
La strategia di sicurezza precedente dell’India di costruire le “linee di frontiera strategiche a tre punte” a nordovest, le quali erano, in precedenza, dirette alla Russia, è stata duplicata a nordest per mirare alla Cina, come dimostrato dalla sua “politica di crescita” nei primi Anni ’60. Una strategia simile a questa fu la “politica verso Est” seguita agli inizi degli Anni ’90 che puzzava di espansione strategica.
L’Oceano Indiano è visto come il punto focale dello “scacchiere strategico” indiano e la sua strategia e politica marittima si sono man mano realizzate seguendo la possibilità di costituire un dominio egemonico nell’Oceano Indiano. Dato che l’Impero britannico in India fu il risultato dell’espansione commerciale della Gran Bretagna, le rotte per il trasporto marittimo sono state incluse per la prima volta nell’ambito del pensiero strategico indiano dopo aver ottenuto l’indipendenza.
Nei primi anni dopo l’indipendenza, l’India aveva già sviluppato tale consapevolezza e costituito le sue forze marittime. Su annuncio della Gran Bretagna di un ritiro graduale della sua presenza militare dal Canale di Suez nel 1967, l’India ha tentato di riempire il “vuoto di potere” nell’Oceano Indiano ma non è riuscita a portare a compimento il suo obiettivo nel contesto del conflitto Est-Ovest e alla sua insufficiente forza nazionale. Nonostante ciò, l’idea che l’oceano Indiano sia il “Mare dell’India” ha già affondato le sue radici nell’opinione dell’elite politica e sociale indiana.
Nella Dottrina dell’Oceano Indiano promulgata nel 2004, l’India ha diviso l’Oceano Indiano in tre zone di controllo basate sul grado di interessi e distanza geografica- cioè, l’area strettamente controllata, che si trova a meno di 500 chilometri dalla costa, l’area moderatamente controllata, che si trova tra 500 e 1000 chilometri dalla costa, e l’area blandamente controllata che si trova a più di 1000 chilometri dalla costa.
Tali divisioni, che assomigliano all’approccio delle “ linee di frontiera strategiche a tre punte” dell’India sotto la dominazione britannica, mirano a stabilire vantaggi strategici e un’esclusiva egemonia marittima nella regione dell’oceano Indiano.
Da una prospettiva di spiegamento di forze, l’India è già andata oltre la sua tradizionale strategia difensiva offshore e ha esteso i suoi tentacoli militari a quasi tutti i presidi strategici dell’Oceano Indiano. Primo, l’India ha preso misure ben pianificate e mirate a sviluppare intimi legami con i paesi dell’Africa sudorientale. Per esempio, ha siglato un accordo sulla cooperazione difensiva col Mozambico e ha costituito una stazione di raccolta informazioni sull’isola a nord affittata dal Madagascar. Ha affittato anche le Isole Agalega che fanno parte delle Mauritius per offrire un trampolino di lancio per il controllo del canale del Mozambico e bloccare efficacemente le acque marittime a nord del Madagascar.
Secondo, l’India ha fondato il Far East Naval Command ( Comando navale dell’Estremo Oriente) ad Andaman e nelle isole Nicobar, che sono capaci di bloccare lo stretto di Malacca, un passaggio strategico marittimo cruciale. Permette anche di continuare, da una parte, a sorvegliare Lombok e lo Stretto della Sonda e dall’altra ad estendere l’influenza indiana al Mar Cinese meridionale e al Pacifico occidentale per svolgere la sua “Politica verso Est”.
Terzo, l’India progetta di schierare missili balistici sottomarini a lungo raggio nell’Oceano Indiano per rafforzare la sua superiorità strategica regionale. Quarto, l’India ha preso misure per consolidare il suo spiegamento strategico tradizionale nel Golfo del Bengala, nel Mar Arabico e nella regione a nord dell’Oceano Indiano. E’ quindi chiaro che un piano strategico ad M e lo schieramento mirato a rendere l’Oceano Indiano l’ “oceano dell’India” ha preso forma.
Vista dalla prospettiva del piano e dello schieramento strategici, il focalizzarsi sulle azioni offensive e gli attacchi preventivi è già diventato la linea guida delle forze armate indiane e, la politica estera dell’India insieme al comportamento internazionale, hanno anche mostrato in maniera crescente un’esplicita inclinazione offensiva. Proprio come la versione del 2004 della Dottrina dell’Esercito indiano ha indicato, qualsiasi piano difensivo deve essere essenzialmente offensivo e contemporaneamente illusorio e preventivo. Tale principio è stato riaffermato nella versione del 2007 della Libertà dell’uso dei Mari: la Strategia militare marittima dell’India che ha anche presentato un piano navale per lo sviluppo delle capacità di attacco in mare aperto. Da questa bozza, è chiaro che l’India ritenga necessario per assicurare i suoi interessi strategici nell’oceano Indiano, Medio oriente e Asia orientale che Nuova Delhi debba sviluppare il combattimento terrestre e le capacità di attacco navale per coordinare ed aiutare il suo combattimento terrestre
E’ vero che, dal momento in cui ha ottenuto l’indipendenza, non sono stati registrati casi di aggressioni o di espansioni indiane su larga scala, ma l’inclinazione dell’India verso l’uso della forza o la minaccia della forza nell’Asia meridionale e le aree confinanti è molto evidente. Lo studio portato avanti dall’Università del Michigan nel progetto accademico “Correlates of War and international Militarized Interstate Disputes” mostra che l’India ha combattutto per cinque volte una guerra con gli Stati confinanti dal periodo successivo l’indipendenza. Inoltre, è stata coinvolta in 49 conflitti militari tra il 1949 e il 2001, 20 dei quali si verificarono dopo il 1980. Rispetto ai suoi paesi confinanti, l’inclinazione dell’India verso l’uso della forza è stata significativamente più forte.
Si può notare come il piano strategico contemporaneo dell’India e il comportamento internazionale, non sono riusciti a confermare la convinzione che la non violenza e la difesa sono l’orientamento culturale strategico di questo Paese.
Caso 3: La scelta tra non allineamento e allineamento: un tipo di autonomia strategica
Proprio come la non violenza, il non allineamento è diventato apparentemente un aspetto cruciale dell’identità indiana. Ma in realtà, si tratta solo della visione stereotipata del comportamento internazionale dell’India da parte del resto del mondo. Agli occhi dell’India, il non allineamento è sia un’estensione del suo status di grande potenza sia una via per realizzare le sue aspirazioni da grande potenza. La politica di non allineamento dell’India nasce dalla sua percezione e valutazione del meccanismo di voto delle Nazioni Unite, il quale era una chiara dimostrazione del conflitto tra i blocchi durante la Guerra fredda.
Nel contesto di questi scontri, l’India ha affermato di mantenere una posizione indipendente per evitare di dover scegliere tra il blocco orientale e occidentale. Questo modo di gestire gli affari internazionali si è gradualmente evoluto in una politica estera di non allineamento e Nehru considerava il non allineamento come una garanzia dell’ indipendenza diplomatica dell’India. Man mano che la diplomazia di non allineamento diventava chiara, l’India ha giocato il ruolo di ponte o “ mediatore di pace” tra i due blocchi della Guerra fredda. Il ruolo di mediatore che l’India ha giocato negli affari internazionali negli Anni ’50 ha fortemente impressionato il mondo e, dipendendo dal movimento di non allineamento, l’India ha giocato un ruolo che ha superato le aspettative.
Un ampio spazio di manovra tra Stati Uniti e Unione Sovietica negli Anni ’60 ha ulterioremente rafforzato il complesso di grande potenza dell’India cosicchè i suoi obiettivi strategici e le aspettative sulla sicurezza si sono sviluppate oltre il limite delle risorse nazionali. Il non allineamento non vuol dire passività; é una strategia attiva e ambiziosa. In sostanza, mira a dotare l’India della libertà strategica di prendere decisioni- cioè, una sorta di “autonomia strategica” basata sul pieno riconoscimento dei suoi interessi nazionali, invece che del codice morale nella gestione della relazioni internazionali. L’autonomia strategica che può fare l’India, che non è forte a livello di potere nazionale, è mantenere l’indipendenza tra i due blocchi mondiali e quindi aumentare la sua reputazione nazionale, ridurre il divario tra i sogni di grande potenza e la realtà e garantire al meglio i suoi interessi relativi alla sicurezza.
Proprio come ha affermato Nehru, l’India “ è condannata a diventare un paese senza alcuna influenza negli affari mondiali e questo non solo in senso militare come mi aspettavo, ma anche in altre aree è più importanti.” Allo stesso tempo, Nehru è stato inequivocabile circa l’utilitarismo del non allineamento dell’India. Nel caso di una guerra su vasta scala, l’India non sarà coinvolta senza una ragione importante. “E’ molto semplice rimanere neutrali in guerra ma se arriverà il tempo di fare una scelta, sosterremo la parte che potrà giovare ai nostri interessi nazionali,” ha detto Nehru in passato. Subrahmanyam è stato ancora più diretto e tagliente nelle sue osservazioni: sia la lotta non violenta di Gandhi contro il colonialismo britannico, sia il movimento di non allineamento di Nehru, come strategie internazionali basate sulla razionalità e logicità, sono state confuse con le scelte morali e le strategie rilevanti sono quindi state soffocate e non sono riuscite ad svilupparsi ulteriormente.
Il credo non violento di Gandhi non ha ostacolato il fermo sostegno per l’uso della forza nel Kashmir, nè la politica di non allineamento di Nehru ha influenzato l’accettazione dell’India dell’assistenza militare da parte dell’Unione sovietica e degli Stati Uniti nel 1963 per il mantenimento della sicurezza nazionale. Proprio come Nehru, il quale ha ignorato la politica di non allineamento, Indira Gandhi ha scelto di schierarsi con l’Unione sovietica e firmare un patto di amicizia e cooperazione nel 1971 per contrastare la Cina e gli Stati Uniti.
Il non allineamento ha concesso all’India scelte strategiche in tempi di crisi. Le politiche dell’India su alcune questioni internazionali importanti, come l’incursione vietnamita in Cambogia nel 1978 sotto l’appoggio sovietico e l’intrusione diretta dell’ex Unione sovietica in Afghanistan nel 1979, smentiscono la sua auto proclamata neutralità e non allineamento e mettono a nudo l’ipocrisia morale della professata neutralità dell’India e la politica di non allineamento. Se il movimento non violento e di non cooperazione è stata un’arma potente che l’India, come fazione più debole, ha esercitato nella lotta contro il dominio coloniale britannico, allora non c’è terreno fertile per l’esistenza di tale pensiero “non violento” in India dal momento della sua indipendenza. Molti sono ancora convinti della non violenza dell’India.
Ma nessun politico indiano o elite strategica dell’età contemporanea crede che la non violenza possa portare sicurezza o salvaguardare gli interessi nazionali dell’India e la sua attuale politica estera e comportamento internazionale non ha rispettato la sua dichiarata neutralità. Ciò fa parte del perchè il presente articolo non include la non violenza nell’ambito della cultura strategica dell’India.
V. Conclusione
C’è una forte interconnessione tra la cultura strategica indiana e le sue scelte strategiche e il comportamento sulla sicurezza. La cultura strategica dell’India, che comprende sia le iniziative offensive che quelle difensive, ha formato un “campo magnetico” di cultura sociale per le sue decisioni strategiche e il comportamento sulla sicurezza. Ha giocato un ruolo importante nel definire i propositi delle scelte strategiche dell’India e l’atteggiamento dei comportamenti internazionali, anche se non ha prodotto esplicitamente risultati causali o logici. Come credo e sistema nazionale, la cultura strategica offre alcuni indizi nello studio dei valori basilari delle motivazioni comportamentali nazionali. Questi punti importanti non sono trascurabili e, più significativamente, possono aiutare a guidare il comportamento del Paese lungo un certo cammino. La cultura strategica dell’India forma anche l’ecologia politica e culturale su cui la sua comunità strategica e coloro che prendono decisioni possono dipendere nel determinare i futuri interessi del Paese.
Sui Xinmin
Fonte: China International Studies Marzo /Aprile 2014 139-162
Traduzione di Armida Pia Faienza.
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