Analisi del Rapporto – giugno 2017 – della McKinsey & Company
di Stefano Vernole.
Le recenti polemiche sul dramma immigrazione hanno riportato alla ribalta una questione di cui da molti anni si dibatte: come si può cooperare con il Continente africano per aiutarlo ad uscire da una situazione spesso considerata di sottosviluppo?
E’ evidente che le logiche portate avanti dalle multinazionali statunitensi ed europee dopo la decolonizzazione post 1945 abbiano decisamente aggravato la situazione dei Paesi del Terzo Mondo, giunti relativamente tardi all’indipendenza: sviluppo ineguale dovuto alla divisione internazionale del lavoro capitalista, neocolonialismo e sradicamento dei popoli ne sono state le conseguenze.
Esiste però un modello alternativo che si sta sempre più affermando, quello della cooperazione Sud-Sud (win-win) concretamente attuato da Pechino sia per ragioni economiche che geopolitiche.
Le radici profonde del legame tra la Cina e l’Africa risalgono al processo di emancipazione degli anni ’50 e ’60, quando il Presidente della Tanzania, Julius Nyerere, si appellò a Mao Zedong in nome della “solidarietà terzomondista”. Una sua concreta espressione ne fu la costruzione tra il 1968 e il 1976 della Tan-Zam Railway, che collegò una Zambia senza sbocco al mare al Porto di Dar es Salaam in Tanzania. Gran Bretagna, Giappone, Germania occidentale e Stati Uniti d’America, così come le stesse Nazioni Unite e la Banca Mondiale, declinarono l’invito a finanziare il progetto ritenendolo impraticabile. Solo la Repubblica Popolare Cinese ci credette, investendoci 3 miliardi di dollari.
Le conseguenze dell’atteggiamento cinese pagarono anche dal punto di vista diplomatico: nel 1971 la Cina tolse a Taiwan il seggio quale membro permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU e 26 voti su 76 a favore di Pechino giunsero dai Paesi africani.
Il rapporto storico tra il “Dragone e i Leoni”, come ben analizzato nello studio pubblicato nel giugno 2017 dalla Società internazionale di consulenza manageriale McKinsey & Company, non ha mai smesso di crescere (segnaliamo ad es. nel 2012 il report: https://www.eurasia-rivista.com/la-lotta-per-lafrica-resoconto-foto-e-video/).
Tra il 2016 e il 2017 la McKinsey ha incaricato un proprio team di condurre indagini approfondite sugli investimenti economici cinesi in Africa, sia pubblici che privati, sfatando i tanti luoghi comuni propagandati dalla stampa occidentale volti a giustificare l’impegno di sfruttamento strategico, militare, finanziario e geopolitico che USA (Africom), G.B. (Commonwealth) e Francia (franco CFA) in particolare continuano a perpetuare nel continente africano.
Sono perciò state investigate 1.073 imprese cinesi che operano in Angola, Costa d’Avorio, Etiopia, Kenya, Nigeria, Sudafrica, Tanzania e Zambia, le quali rappresentano circa 2/3 del prodotto interno lordo dell’Africa sub-sahariana e il 50% degli investimenti diretti esteri (IDE) cinesi in Africa. Inoltre sono stati intervistati 104 alti governatori e leader aziendali africani su quelle che sono le loro percezioni relativamente alla strategia e agli investimenti cinesi nei rispettivi Paesi. Per concludere il report, la McKinsey ha quindi sondato le opinioni di altri 30 esperti cinesi e analisti di livello mondiale.
I numeri e le valutazioni dell’indagine non lasciano spazio a dubbi: sono oltre 10.000 le imprese cinesi che lavorano attualmente in Africa e se osserviamo questa partnership attraverso cinque dimensioni fondamentali come: commercio, numero e crescita di investimenti, finanziamento delle infrastrutture e aiuti economici, possiamo concludere che nessuna nazione al mondo può vantare una tale profondità e ampiezza di rapporti.
In soli due decenni la Repubblica Popolare Cinese è divenuta il più grande partner economico del continente africano e ne ha accelerato il progresso sotto differenti versanti: ha creato occupazione e sviluppato diverse abilità, ha trasferito nuove tecnologie e conoscenze scientifiche, ha finanziato e implementato numerose infrastrutture. In più di 1.000 compagnie cinesi oggetto dell’indagine, l’89% dei lavoratori assunti (che ammontano a circa 300.000 persone) sono africani; se allarghiamo la statistica alle oltre 10.000 imprese cinesi presenti, possiamo supporre che i posti di lavoro creati per gli abitanti dell’Africa coinvolgono diversi milioni di persone.
Circa 1/3 delle imprese cinesi operano nel settore manifatturiero, 1/4 nel settore dei servizi e circa 1/5 nei settori del commercio, delle costruzioni e dell’immobiliare. Nel manifatturiero si stima che il 12% della produzione industriale africana, per una cifra di 500 milioni di dollari all’anno, sia dovuta agli investimenti delle aziende cinesi; nelle costruzioni la presenza cinese è ancora più evidente, potendo vantare il controllo del 50% del mercato internazionale delle costruzioni africano.
Il 74% delle imprese cinesi si dice ottimista riguardo al futuro e manifesta una forte volontà di restare in Africa per approfondirne i legami.
Nel rapporto McKinsey non si dimenticano ovviamente le problematiche relative a questa presenza: solo il 47% delle aziende cinesi è stata rifornita da ditte africane, solo il 44% di esse utilizzano manager africani e si registrano alcune istanze per violazioni dei diritti dei lavoratori in settori come l’estrazione delle risorse naturali (che includono il legname e il pesce).
Etiopia e Sudafrica occupano un posto chiave in questa relazione; entrambe le nazioni hanno infatti inserito nella loro strategia di sviluppo nazionale un capitolo specifico dedicato alla Cina, entrambe hanno creato una robusta piattaforma di attrazione degli investimenti cinesi per essere coinvolte nello strategico progetto di sviluppo globale definito da Pechino “One Belt One Road”.
Altri Paesi che godono di un legame privilegiato con il Dragone possono essere considerati l’Angola (metà dell’export angolano si dirige in Cina) e lo Zambia, con caratteristiche opposte: nel primo solo il 70-75% delle compagnie cinesi presenti risultano private (la media in Africa è del 90%), nel secondo è stato proprio il settore privato a trainare lo sviluppo ma con la conseguenza di una maggiore corruzione. Il Paese che attualmente rappresenta un’incognita è la Costa D’Avorio: qui la partnership con la Cina è alle sue fasi iniziali e le relazioni tra le due nazioni non appaiono ancora abbastanza chiare.
Le proiezioni riguardanti i profitti delle imprese cinesi in Africa indicano che dagli attuali 180 miliardi di dollari si dovrebbe arrivare nel 2025 a 250 miliardi di dollari ma espandendosi in nuovi settori come l’agricoltura, le banche, le assicurazioni, l’alloggiamento, la tecnologia delle comunicazioni informatiche, i trasporti e la logistica questa cifra potrebbe salire fino a 440 miliardi di dollari.
Ad un livello macroeconomico, le economie africane potrebbero così beneficiare di un enorme capitale d’investimento, aumentare la propria competitività, produttività e capacità occupazionale. Ad un livello microeconomico ci sarebbero ovviamente vincitori e perdenti, come accade in ogni economia di mercato, per cui le imprese africane saranno costrette ad accelerare il loro processo di efficienza per poter poi competere con quelle cinesi.
Sono almeno tre i problemi che questa partnership si trova oggi ad affrontare: la corruzione presente in alcune nazioni, la sicurezza personale e le barriere culturali-linguistiche.
Tuttavia i dati elaborati dalla McKinsey dimostrano i larghissimi benefici derivanti dagli investimenti cinesi in Africa, ponendo fine a quel vuoto scientifico che aveva alimentato svariate leggende come l’utilizzo di massa dei carcerati come lavoratori …
Il commercio tra Repubblica Popolare Cinese e continente africano è incrementato dai 13 miliardi di dollari del 2001 ai 188 miliardi di dollari del 2015, un tasso di crescita annuale del 21%. Gli investimenti diretti esteri (IDE) sono cresciuti ancora più velocemente, da 1 miliardo di dollari nel 2004 ai 49 miliardi di dollari nel 2016, una crescita media annuale vertiginosa e superiore al 40%. Più del 20% dell’export di 16 nazioni africane è diretto verso la Cina e consiste essenzialmente in risorse come petrolio, minerali, semilavorati e materie prime. Gli investimenti cinesi in Africa hanno raggiunto una crescita media annuale del 52% in Etiopia, del 59% in Sudafrica e dell’89% in Angola tra il 2004 e il 2014. La Cina è tra i primi tre donatori internazionali dell’Africa, 6 miliardi di dollari elargiti nel solo 2012; in contrasto con le abitudini dei donatori occidentali come UE e USA che forniscono aiuti sotto forma di borse di studio, il sostegno cinese avviene soprattutto attraverso la concessione di prestiti per la costruzione delle infrastrutture e di crediti all’esportazione.
Per fare solo alcuni esempi, l’EXIM Bank cinese ha finanziato il 90% dei 3,8 miliardi di dollari necessari alla costruzione della ferrovia Mombasa-Nairobi in Kenya, altre istituzioni finanziarie cinesi hanno investito quasi 1,7 miliardi di dollari per la centrale idroelettrica Karuma in Uganda; 6 dei 10 più importanti appaltatori internazionali cinesi di EPC (Engineering Procurement Construction) in Africa sono cinesi.
Se le imprese private cinesi sono state abili a ricavarsi importanti nicchie di mercato, favorendo indirettamente lo sviluppo dei Paesi africani, non bisogna dimenticare il contributo statale.
Pechino stanzierà un piano di finanziamenti pari a 60 miliardi di dollari per lo sviluppo del continente africano, come annunciato dal presidente cinese Xi Jinping durante il sesto forum di cooperazione Cina-Africa (Focac) di Johannesburg, lo scorso 4-5 dicembre. Il piano prevede un progetto di sviluppo congiunto in 10 punti, che verterà principalmente intorno all’industrializzazione, la modernizzazione agricola, l’implemento delle infrastrutture, i servizi finanziari, la tutela ambientale, lo sviluppo del commercio e degli investimenti, la riduzione della povertà, la salute pubblica, gli scambi culturali e la cooperazione sul versante della sicurezza. Dei 60 miliardi di cui potranno usufruire i governi africani che godono del “beneficio diplomatico” con la Cina, 35 miliardi saranno destinati a prestiti agevolati, 5 miliardi a prestiti a zero interessi e 5 miliardi a sostegno delle piccole e medie imprese. Altri 5 miliardi verranno riversati nel Fondo per lo sviluppo Cina-Africa, mentre è previsto un capitale iniziale di 10 miliardi a favore di un fondo di cooperazione per l’incremento della capacità produttiva. Inoltre, è previsto lo stanziamento di aiuti alimentari pari a 156 milioni di dollari a beneficio delle regioni più in difficoltà.
Oltre la retorica, perciò, esiste attualmente un progetto reale per “aiutarli a casa loro”: l’Europa, che è strategicamente proiettata specie nel suo versante meridionale verso l’Africa, deve prenderne atto e compiere le scelte geopolitiche più adeguate.
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